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Acta Comportamentalia

Print version ISSN 0188-8145

Acta comport. vol.15 no.spe Guadalajara  2007

 

 

Identità: le funzioni del sé

 

Identity: the functions of self

 

 

Roberto Mosticoni

Scuola di Specializzaione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale - A.P.C. - Roma

 

 


RIASSUNTO

L'articolo propone un'analisi funzionale dell'Identità, del concetto di sé, alla luce delle concettualizzazioni della relational frame theory. L'Identità è definita come la classe di risposte individuali funzionale alla percezione di sé come differente da altro e da altri (identità sincronica), e funzionale alla percezione della costanza percettiva di sé attraverso il tempo (identità diacronica). L'Identità è anche funzione dell'autonomia decisionale e di azione da vincoli esterni all'individuo. Si ipotizza una relazione funzionale derivata (combinatoria) tra identità sincronica e diacronica per cui trasformazioni dell'una si rifletterebbero anche nell'altra.


ABSTRACT

A functional analysis of the Identity and self awareness is conducted by means of the relational frame theory. The Self is defined as an equivalence class including percepting Self as dìfferent from the context (difference, sincronie identity) and including percepting Self as Constant along the time (sameness). We hypothesize a derived functional relation (combinatoria!) between difference and sameness: therefore transformations applied on the first are reflected on the other one.


 

 

A causa delle sue contiguità con temi filosofici e di linguistica, il costrutto "identità" è più spesso trattato unitamente ad aspetti cognitivi o metacognitivi riguardanti il Sé, la sua percezione, la sua consapevolezza, teorie della mente, e meno in relazione ad approcci più sperimentali della psicologia. Dal punto di vista dell ' analisi comportamentale, il sé è visto come un comportamento appreso sulla base degli stessi principi degli altri comportamenti (Kohlenberg e Tsai, 1991 ) e l'autocoscienza (self awareness) ha trovato ampio spazio in concettualizzazioni (ad es. Skinner, 1953,1974;Hineline, 1992; Chiesa, 1994) o in esperimenti condotti secondo le acquisizioni della "relational fraine theory" (Sidman, 1994; Dymond e Barnes, 1994e 1996), in cui regole di associazione arbitraria tra comportamenti e situazioni (come nel linguaggio) mostrano di poter essere mantenute non arbitrariamente in accordo con previsioni tratte dalle leggi del condizionamento operante.

Una prima definizione comportamentale dell'autocoscienza la si può dare come "la discriminazione da parte di un individuo dei propri comportamenti come propri e non di altri" (Dymond & Barnes, 1996; ma anche in Locke, 1689 come auto-identificazione di sé).

L'identità individuale è l'insieme delle attività della persona per cui le risposte che scaturiscono da circostanze contingenti sono funzionali alla costanza della percezione e memoria di sé nel tempo (identità diacronica) e alla percezione di sé nel confronto (di somiglianza o di differenza) con altri oggetti o individui (identità sincronica). L'identità è pertanto la classe delle risposte funzionalmente equivalenti a questi due effetti (rinforzanti). Simmetricamente l'Identità è anche la classe delle risposte funzionalmente equivalenti in quanto evocate dalla contingente assenza di quelle medesime percezioni di "identificazione".

Nello studio dello sviluppo infantile si incontrano osservazioni naturalistiche o sperimentali dell'apprendimento di questa classe di risposte, anche verbali. Nel correspondence training, ad esempio (Paniagua, 1990), trova applicazione proprio il costruire e rinforzare il "fare e poi raccontare" fino a stabilire un'equivalenza funzionale tra "verbale" e "non verbale" (Hammonds, 2006). Osservazioni congruenti alla cornice di riferimento proposta da Metzinger (2000) e che anticipano i prevedibili correlati neurobiologici (Dickins et al., 2001 ; Dickins, 2005; Timberlake et al. 2005).

Lo studio di oggetti ed esperienze relative all'Identità può quindi essere condotto in modo sperimentalmente verificabile, con gli strumenti consolidati del metodo operante sperimentale, senza necessità di attingere a costrutti e pseudo-spiegazioni mentalistici.

Osservando un'altra classe di conseguenti funzionalmente rinforzanti, l'identità rappresenta anche lo spazio personale, la misura dell ' autonomia e delle possibili scelte che l'individuo può compiere sulla base dei propri bisogni percepiti, dei rinforzi disponibili, della propria storia di apprendimento, delle modalità peculiari con cui reagisce a contingenze. Simmetricamente, essa è anche misura inversa della limitazione di scelte, dell'inoperabilità di decisioni, dell'inefficacia di azioni, quando questi limiti derivino da vincoli o circostanze o azioni esterne all'individuo e alla sua storia. L'identità cioè è la riconoscibilità e la titolarità delle azioni ascritte ad un individuo, ed in qualche misura della loro imprevedibilità (indipendenza) se non come funzioni della sua storia.

 

 

Nell'esempio paradigmatico esposto sopra sono presenti due relazioni funzionali: quella (RI) tra classe di situazioni elicitanti e classe di risposte e quella (R2) tra classe di risposte e classe di conseguenti rinforzanti. La costruzione (apprendimento) di tali relazioni può avvenire per mezzo di contingenze e generalizzazioni che -nella storia individuale- abbiano legato insieme i tre termini, ma anche di esperienze (operazioni stabilizzanti) che fondino una delle due correlazioni funzionali lasciando l'altra come relazione derivata (Hayes e Wilson, 1996). Trattandosi di classi di equivalenza, l'inclusione degli eventi in esse è naturalmente arbitraria, ma mantenuta in maniera non arbitraria. L'identità va perciò a coincidere con il sistema delle relazioni (relational frame) che assolvono o descrivono, idiograficamente, queste funzioni.

Le esperienze di differenziazione sono probabilmente quelli più precocemente attivi in questo sistema, dal momento che non è possibile confrontare un oggetto con un altro se non si ha prima la percezione (dei confini) dell'oggetto: in questo senso l'apprendimento dei confini corporei, attraverso la propriocezione e la differenziazione, appare come il primo passo nella costruzione della rete di relazioni. In questa prospettiva l'Identità comprende elementi equivalenti nella funzione di identificare, discriminare (difference). Solo successivamente è possibile l'apprendimento della funzione di essere identico (sameness), ad esempio rispetto al tempo, alla memoria. L'apprendimento di queste funzioni può essere contingente, ma può anche essere il risultato di "regole" di comportamento: ovvero di quelle espressioni verbali che indicano le funzioni di contingenze anche in assenza delle circostanze a cui si riferiscono (Schlinger e Blakely 1987; Mosticoni, 2006 cit); i rinforzi (o punizioni) possono essere contingenti o non contingenti ma con identica efficacia.

Sul piano delle connotazioni (ovvero delle marcature affettive) associate agli eventi e alle risposte, l'equivalenza è assicurata da emozioni e sentimenti non dissimili (pur nelle differenti intensità) da quelli evocati dal subire aggressioni o coercizioni o perdita/riduzione dell'efficacia: eventi che interferiscono con l'Identità attraverso la limitazione dell'autonomia (analogamente alla perdita dello spazio vitale in etologia, che ne giustifica l'importanza anche filogenetica). L'Identità si trova dunque ad essere equivalente all'autodeterminazione sotto la duplice funzione di "azione determinata dalla propria storia riconoscibile" (sameness) e di "azione non dipendente da sollecitazioni o pressioni (demands) esterne" (difference). I marker emozionali (Damasio, 1994), le connotazioni, molto spesso rabbia o tristezza nelle loro diverse gradazioni, segnalano all'individuo di trovarsi in presenza di situazioni che appartengono all'una o all'altra delle classi di equivalenza correlate alla riduzione o al ripristino dell'autodeterminazione, alla minaccia o alla conservazione della libertà, alla perdita o alla crescita dell'Identità.

 

ONTOGENESI

Le differenze individuali, come accennato prima, si concentrano nella costruzione delle classi di equivalenza. E' la storia personale di apprendimento a fondare le relazioni funzionali tra circostanze e risposte, così come anche tra circostanze e connotazioni. Se la differenza da altri (la singolarità, al limite la bizzarria), attraverso consistenti operazioni stabilizzanti, è connotata positivamente nell'ambiente originario, anche attraverso relazioni di confronto, acquista valore rinforzante, e mantiene e sviluppa tutte le risposte che la determinano. Anche in assenza di esperienze dirette, si possono inoltre avere relazioni funzionali derivate, quali quelle simmetriche (per cui ad es "la somiglianza, la non-differenza è cosa negativa"), che -insieme alle risposte emozionali e comportamentali che producono- saranno a loro volta rinforzate dal medesimo ambiente. Se a questo si somma il processo di generalizzazione, per cui circostanze fisicamente, percettivamente, simili evocano una stessa risposta, il sistema di relazioni funzionali raggiunge la complessità e la stabilità che caratterizzeranno il "significato di Identità" per quell'individuo.

E' proprietà delle classi di equivalenza funzionale la "trasformazione" di finizioni:

la modificazione degli effetti funzionali di un elemento della classe trasferisce la nuova funzione a tutta la classe. E' per questo che interferenze esterne su elementi, anche periferici, dell'Identità possono produrre risposte apparentemente non proporzionate aireffettiva restrizione dell'autodeterminazione. Il significato (la classe) prevale e canalizza l'esperienza ben oltre l'effetto materiale contingente, e la conseguente risposta ben al di là delle sue proprietà topografiche.

Poiché la probabilità congiunta di una risposta condizionata (fosse pure esclusivamente di giudizio) è direttamente dipendente dalla probabilità della situazione-stimolo (condizione) attivante, è evidente che tale probabilità dipende dall' ampiezza della classe di quelle situazioni elicitanti. Ampiezza che può essere rappresentata sia dalla cardinalità (numerosità) degli elementi che a quell'insieme appartengono, sia dalla approssimazione degli attributi la cui presenza conduce all'appartenenza, sia dalla maggiore o minore restrizione che quell'insieme comporta sullo spazio ambiente costituito da tutti gli eventi possibili. Il che vai quanto dire che se nella storia individuale di apprendimento, gli eventi connotati come minacciosi per l'Identità erano stati molti, o solo superficialmente indicati come tali, o pochi ma con elevata frequenza di accadimento, le occasioni per connotare una circostanza come restrizione all'autonomia sono numerose.

Aneddoticamente: le persone che si identificano in più ruoli (ad es. negli ambiti familiare, amicale, lavorativo, sportivo, politico, ecc) sono più pronte ad una reazione quando anche uno solo di quei ruoli è compromesso da qualche inefficacia. Lo stesso accade a persone alle quali "basta poco" per riconoscere una situazione come disconfermante. O infine quelle persone che abbiano l'Identità legata ad una loro "unica" qualità. Studi sulla perdita del senso di sé nel caso di lesioni cerebrali (ad es. Myles, 2004) vanno in questa medesima direzione.

Questo spiega come mai una critica, anche modesta, può elicitare in una persona indifferenza, in un'altra fastidio, in un'altra ancora rabbia anche intensa, evocando a sua volta nessuna reazione, o una risposta seccata o perfino l'accesa violenza: la variabile che interviene a differenziare le diverse risposte è per l'appunto l'ampiezza della classe di equivalenza, ovvero se e quanto l'aspetto "criticato" era funzionale a mantenere la riconoscibilità di sé della persona nel tempo e rispetto al resto (sameness e difference).

Nella costruzione di questi sistemi di relazioni funzionali, ambienti particolarmente affettivi, accudenti, gratificanti, possono dare un contributo non molto differente da ambienti fortemente disconfermanti, maltrattanti, trascuranti. Infatti nel primo caso l'Identità può essere costruita a comprendere tutti quegli attributi comportamentali che rendono la persona riconoscibile, e per mezzo delle relazioni simmetriche derivate quella stessa persona apprenderà come o che cosa non essere o non fare. Nel secondo caso l'Identità sarà costruita a comprendere tutti quegli attributi che rendono la persona "negativa" ma non per questo meno riconoscibile. E pertanto, per la proprietà di simmetria, le relazioni derivate comprenderanno quei comportamenti che, seppure palesemente più gratificanti, non svolgono la funzione di riconoscibilità individuale.

 

Figura 1 : Schematica rappresentazione delle relazioni funzionali (di analogia [=] o di esclusione) tra differenti classi di eventi associati alla percezione di Sé. Le funzioni originarie sono selezionate dall'ambiente attraverso il rinforzo o la punizione dell'associazione di una classe alla risposta, anche per mezzo di regole di comportamento. Le relazioni funzionali derivate (tratteggiate) sono mantenute in un contesto operante, anchedalla sola condivisione linguistica. La formazione delle classi di equivalenza può avvenire sia rinforzando le associazioni "positive", sia simmetricamente punendo le associazioni non condivise. In questo caso, Prelazioni con le classi opposte sono relazioni simmetriche derivate. Gli indivìdui esposti prevalentemente al rinforzo per lo stabilirsi delle funzioni di associazione possono presentare maggiore stavilità del sistema e maggior lentezza nella formazione di nuove relazioni (Tyndall et al. 2004).

 

Problemi, soprattutto di ambiguità nella risposta associata, possono nascere quando il mantenimento della classe nel tempo è ad esempio eccessivamente affidato al feedback interpersonale: in questo caso, per esempio, anche la delusione altrui può diventare rinforzante se è in relazione funzionale con un giudizio di diversità. Perché ambiguo? Perché dire a qualcuno "da te non me lo aspettavo" divide (e riduce) l'efficacia funzionale garantendo da un lato la diversità dal giudicante (e quindi la difference), ma contemporaneamente mina la costanza della riconoscibilità di quella persona nel tempo (la sameness). Cosa che invece non accade nel dire a qualcuno "come al solito fai cose che da te non mi aspetterei", poiché quel "come al solito" è funzionale alla propria riconoscibilità, continuità.

Nell'equivalenza prevista tra Identità e Autodeterminazione appaiono coinvolte entrambe le funzioni di auto-somiglianza (sameness) e di identificazione: l'autonomia è (percepita e connotata) tale quando l'azione è funzionale a rimarcare la distanza da azioni o da richieste di altri e è conforme, corrispondente, alla propria storia. Tuttavia, l'autonomia è connotata tale anche quando una sola di queste due funzioni è attiva. Esistono persone in condizione di percepirsi autodeterminate anche in presenza di richieste o di analoghe azioni altrui, purché riescano a percepire la coerenza (o anche la semplice ripetizione) della trama delle proprie azioni. Altre persone, al contrario, meno reattive agli input autobiografici, connotano come autonome le sole azioni che risultino in aperta diversità o contrapposizione con le azioni o le richieste altrui.

E' conseguente che le azioni espresse saranno diverse in queste due differenti relazioni funzionali. Nel caso di attività della funzione sameness, la risposta individuale sarà funzionale al mantenimento delle proprie modalità stereotipe (giungendo anche a "falsificare" la propria memoria o a scotomizzare le differenze di azioni di volta in volta diverse). Nel caso invece della prevalenza della differenziazione, la risposta individuale sarà funzionale al mantenimento di diversità da altri, di imprevedibilità e sorpresa (giungendo anche all'oppositività esasperata o a condotte totalmente con contingenti). Questa ipotesi funzionale è peraltro agevolmente verificata e verificabile assumendo la risposta come variabile dipendente, e manipolando opportunamente le conseguenze funzionalmente attese. Per puro esercizio intellettuale si potrebbe avanzare la congettura che le personalità multiple di un disturbo dissociativo siano differenti repertori dì risposte relative alle due differenti funzioni.

Peraltro, la funzione di mantenimento e riconoscibilità della propria identità (sameness) appare come la più adattiva delle due (forse perché filogeneticamente e ontogeneticamente precedente?). Ma anche la più forte: alcune osservazioni di "resistenza al cambiamento" in ambito clinico potrebbero trovare qui la loro spiegazione, come suggerisce anche un esame ex post di alcuni percorsi ed esiti psicoterapeutici con pazienti ossessivi (Mosticoni, 2001 ). Il fallimento della stessa sameness in occasione delle variazioni emotive nel disturbo borderline, peraltro, può ben spiegare le conseguenti emozioni di rabbia: emozione che si è detto spesso elicitata da compromissioni della classe Identità.

Comunque stiano, individualmente, le cose, in ogni caso di diminutio o di mancata percezione di una delle due componenti, la funzione della classe Identità è alterata e con essa quella coordinata di Autoderminazione: le risposte conseguenti sono a quel punto funzionali all'attenuazione di tali "pressioni", per mezzo di azioni di contrasto e conflitto, o nella riduzione (depressiva) del repertorio comportamentale rivelatosi inefficace a quelle stesse funzioni.

 

RELAZIONI COORDINATE

Si prenda ad esempio "un'abitudine": per qualcuno è la rassicurante ed economica riconoscibilità di sé nel tempo, mentre per un altro è l'intollerabile sensazione del non poter agire diversamente. Questo dipende dal "significato" di "abitudine", ovvero dalla classe cui appartiene per equivalenza delle funzioni svolte. Se operazioni stabilizzanti l'avevano trattata come equivalente a vincolo, a limite, a cosa dannosa da contrastare, allora sarà funzionalmente opposta all'autodeterminazione, e pertanto subita come un'interferenza con l'identità; se invece era stata trattata e connotata come un tratto individuale, allora sarà funzionalmente analoga all'identificazione, e pertanto non eliciterà reazioni ulteriori di ripristino o di mantenimento dell'identità..

Se però differenti operazioni stabilizzanti avevano incluso "l'abitudine" contemporaneamente nelle due classi, non è improbabile una relazione derivata di coordinazione (per cui il limite all'autodeterminazione si trova ad essere correlato con il mantenimento di identità) plausibilmente rinforzata da condivisione e comprensione nel contesto sociale. In alcune situazioni di "resistenza al cambiamento", o di "paradosso" nel mantenimento di una condotta a dispetto dell'inefficacia, o di discrepanza tra valutazione ed azione conseguente, si possono rintracciare ulteriori contributi esemplificativi.

 

RELAZIONI SIMMETRICHE E COMBINATORIE

La relazione funzionale tra una risposta e l'antecedente che la evoca è commutativa: qualità che rafforza l'efficacia della relazione simmetrica derivata. Questa proprietà consente di spiegare e prevedere il mantenimento nel tempo di "erronee" connotazioni di situazioni come minacciose per l'Identità. Se infatti, ad esempio, l'abituale -individualmente- reazione emotiva evocata da situazioni che compromettono aspetti dell'Identità è la rabbia, la presenza di rabbia -anche se evocata da altre circostanzepuò far connotare come ostile la situazione esistente al momento del suo insorgere. Se, continuando nell'esempio, la minaccia per l'Identità elicita abitualmente una risposta aggressiva precedentemente stabilizzata dalla storia, sulla base di una relazione combinatoria derivata si produrrà una reazione aggressiva (funzionale ma probabilmente disadattiva) anche a fronte di una situazione che non era effettivamente minacciosa.

Appare fondato ipotizzare che l'Identità, qui definita come sistema di relazioni funzionali, sia mantenuta e garantita indifferentemente dalle azioni di confronto con se stessi (diacronica) o con gli altri (sincronica). E che quindi mutamenti cospicui anche solo di una di queste variabili possano compromettere la percezione di Sé, con conseguenti risposte emotive e condotte disadattive volte al ripristino funzionale.

 

UNA VERIFICA EMPIRICA

Per testare l'effettiva equivalenza funzionale della sameness (=essere identico a sé) e della difference (=identificarsi rispetto agli altri) è stato progettato un esperimento. La premessa è: se la differenziazione da altri è in relazione funzionale con l'Identità, e se anche la riconoscibilità di sé nel tempo è ugualmente in relazione funzionale con l'Identità, allora esiste la relazione combinatoria derivata per cui le due attività (sameness e difference) sono in relazione funzionale tra loro. Ovvero, se l'identità è più "forte" quando è maggiore la riconoscibilità di sé nel tempo, e se l'identità è più forte quando è più efficace l'identificazione di sé verso altri, allora la riconoscibilità di sé nel tempo è più forte quando è più efficace l'identificazione di sé rispetto ad altri. Da cui l'ipotesi sperimentale che al variare della forza dell'una corrisponda una variazione della forza dell'altra. Si è pertanto scelto di considerare l'identità sincronica come variabile indipendente e l'identità diacronica come variabile dipendente. Nella condizione sperimentale, la prima è stata rilevata obicttivandone la frequenza per mezzo della quantità di costrutti (Kelly, 1955) individuati in un intervallo temporale (20 min) di osservazione, e la seconda è stata misurata per mezzo di un differenziale semantico (Osgood, 1957) relativamente ai concetti "Io attualmente" e "Io come ero", assumendo che ad una maggiore forza della "identificazione da altri" corrispondesse una minor "distanza" tra i due concetti. Un gruppo di 27 studenti, volontari, è stato sottoposto ad un periodo di rafforzamento dell'attenzione sulla percezione delle differenze di sè da altri: chiedendo loro di impegnarsi individualmente per un tempo di circa 20 minuti a produrre un elenco (il più lungo possibile) delle caratteristiche che ciascuno di essi riteneva differenziarlo da tutti gli altri presenti conosciuti. Subito dopo, agli stessi individui è stato chiesto di compilare il differenziale semantico per i due concetti di sé (attuale e passato).

 

RISULTATI

Nella figura 2 sono riportati i risultati ottenuti. E' evidente anche ad una sommaria ispezione visiva che l'ipotesi sperimentale appare confermata. Esiste cioè una correlazione lineare per la quale gli individui che hanno riferito una maggior stabilità della percezione di sé nel tempo (bassi punteggi dell'indice D) hanno anche riportato una maggiore quantità di attributi rilevati come "differenti dagli altri".

 

Figura 2. La forza delle due funzioni di "identico nel tempo" (sameness), misurata da bassi valori della D (di Osgood) e di "identificato rispetto agli altri" (difference) misurata dal maggior numero di costrutti impiegati nel confrontarsi ad altri. La retta di regressione visualizza la relazione funzionale (derivata)fra le due funzioni (r Pearson -.384 p=o.048).

 

CLASSE DI RISPOSTE

Assumiamo che le azioni individuali scaturiscono da occasioni marcate da una particolare connotazione e trovano epilogo in una condizione in cui tale connotazione è stata rimossa, modificata, o fortemente attenuata. Metaforicamente sì potrebbe dire che le azioni individuali prendono inizio da una condizione di squilibrio connotativo e si esauriscono quando producono o ripristinano una forma di equilibrio, nella relazione individuo-ambiente (Lazarus, 1984; Mosticoni, 1984,1999 e 2006; Werner e Graham, 1984).

Nel caso dell'Identità, le risposte possibili svolgeranno una o più delle seguenti funzioni: rendere più evidente il risultato di un confronto fra l'individuo ed il resto (o gli altri), ricavare esperienze o attributi che attenuino o rendano nulla la percezione di eventuali cambiamenti di sé rispetto a se stessi, produrre dimostrazioni dell'autonomia di azione. Si è visto che nel sistema dell'Identità tutte queste funzioni sono tra loro accomunate e non indipendenti, per cui ogni modificazione di una di esse si trasferisce a tutte le condizioni equivalenti. Da qui deriva che seppure una risposta svolge una sola di quelle tre funzioni, agisce anche sulle altre, e pertanto può riuscire efficace (e mantenersi nel repertorio comportamentale) al di là dei suoi effetti materiali. In altri (e meno verificabili) termini, si può dire che queste risposte risultano efficaci per il "significato" che implicano, più che per le loro caratteristiche topografiche. In questa rete di relazioni funzionali trovano spiegazione anche risposte "oblique" come ad esempio il rifugiarsi nei ricordi davanti ad una compromissione dell'autonomia decisionale, o l'aggressività interpersonale di fronte ad una limitazione dell'autonomia motoria dovuta ad una malattia, o inadeguate condotte adolescenziali di fronte alla percezione dei cambiamenti prodotti dall'età, o la riconnotazione di una critica subita come prova del proprio valore, e così via. La variabilità e la funzionalità di così tante diverse risposte possibili è limitata dall'effettiva estensione del repertorio comportamentale, e dalla forza e complessità delle relazioni funzionali -soprattutto quelle derivate- coinvolte nel sistema dell'Identità. Un sistema "semplice" riesce a funzionare solo con risposte esplicitamente correlate alla modifica della funzione e può allora accadere che davanti ad una critica non si riesca a riconnotare l'Identità "attaccata" se non passando a vie di fatto, o che davanti ad un'invalidità l'unica risposta "autonoma" passi per l'estremo annullamento di sé.

 

COMMENTI CONCLUSIVI

Abbiamo applicato i principi e i metodi dell'analisi comportamentale all'ambito dell'identità personale, del sé, sottraendolo ai più frequentati approcci mentalistici. Dopo avere opportunamente operazionalizzato le variabili della consapevolezza di sé, è apparso possibile analizzarla con gli strumenti della relational frame theory, e le dimensioni di identificazione dall' altro e di coerenza nel tempo hanno mostrato di soddisfare i requisiti formali per essere considerate funzionalmente equivalenti, e dunque di appartenere ad un'unica classe (di significati). Anche l'autonomia decisionale (o il suo inverso: la costrizione) sembra appartenere alla stessa classe, e studi successivi si dovranno incaricare di verificarne le proprietà formali di equivalenza.

E' apparso chiaro che i metodi usati e le conclusioni proposte sono interamente allineati con i metodi e le conclusioni già correnti negli studi funzionalisti sulla formazione dei significati e del linguaggio. Non sembra quindi legittimato un approccio "speciale" alle categorie dell'identità personale, che possono essere esplorate e descritte alla stregua di qualsiasi altra classe di significati. Se particolarità c'è, essa va cercata nei contenuti e nell'ampiezza delle influenze che questi significati mostrano di avere sulle altre attività individuali, ma non in una loro peculiarità di funzioni o in un ipotetico superordinamento.

Studi nell'area applicativa, soprattutto clinica, potranno verificare il potere esplicativo di queste acquisizioni nei confronti di quei disturbi che sembrano più strettamente legati all'integrità e continuità del Sé, a fenomeni come l'autocoscienza, o anche semplicemente alle possibilità di efficace integrazione interpersonale.

 

 

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